Il sole è quasi basso. In lontananza
non si vede altro che una fitta vegetazione, sotto i suoi piedi, uno
strapiombo. La roccia è scura e i raggi che la colpiscono la rendono rossa e
vivida come il fuoco in un gioco di colori e di suoni che si mischiano
freneticamente. Difficile dire da quanti giorni cammina, porta con sé pochi
oggetti, una brocca d’acqua, un tamburo, un oboe e un piccolo clarinetto. Non
mangia forse da parecchi giorni e durante i suoi spostamenti non pensa mai a
nulla, se non alla prossima melodia da comporre, stavolta un’esibizione Kacheri, di quelle importanti e che gli
avrebbero dato per i prossimi giorni un pezzo di pane e carne senza dover
elemosinare tra le vie di qualche paese sperduto del Rajasthan indiano.
Fa caldo, troppo
caldo, una goccia di sudore arriva fino al piede che scalzo strofina una pietra
ai bordi dello strapiombo. I suoi piedi sono nudi, nudi come la terra rossastra
che lo circonda prepotentemente in un assurdo odore intenso di umidità
contaminante. Deve arrivare al villaggio prima che cali la sera , così perso
tra i suoi pensieri riprende il cammino che lo avrebbe portato a valle. Si fa
strada con un bastone per tagliare i rami secchi e pungenti, e con l’altra mano
ogni tanto si appoggia o si dà lo slancio per saltare qualche buca profonda.
Ormai il sole sta facendo capolino e la valle si avvicina sempre di più.
Sente finalmente
qualche tamburo riecheggiare nella vallata e l’eco di alcune voci femminili. Si
fa fatica ora a vedere, guarda a nord da dove provengono i suoni, si stropiccia
gli occhi con le mani sporche e finalmente riesce ad intravedere il piccolo
villaggio vicino al lago del Nandsamand Dame. In lontananza vede capanne
schierate come fossero la schiena di un porcospino, con il tetto fatto di
foglie di palma da datteri proveniente dagli altipiani. Lì, finalmente avrebbe
trovato le tribù dei cacciatori.
Ci sono i
cacciatori davanti alle capanne e uno strano silenzio, che di tanto in tanto,
viene interrotto dai gemiti di una donna. Si sentono dei deboli canti e le
donne nervosamente vanno avanti e indietro uscendo ed entrando da una capanna,
la principale, più grossa delle altre e più curata; quella del capo tribù. Col
bastone che ha usato per tutto il suo viaggio ora si aiuta per appoggiarsi su
di un lato lasciando cadere il peso su tutta la gamba destra. Si ferma e guarda
per attirare l’attenzione e osserva bene i cacciatori per capire a chi deve
rivolgere per prima lo sguardo. Un uomo si accorge di lui, è alto, ha occhi di
chi ha vissuto abbastanza per poter parlare, fa un cenno con la testa e lo
invita ad avvicinarsi. In qualità di menestrello, la sua presenza è
fondamentale. Il suo lavoro è importante, gli permette di vivere alla giornata
e di non morire di fame. La musica è sempre stata la sua migliore amica, tutto
ciò che ha, tutto ciò che non potrà mai abbandonarlo. I gemiti della donna si
fanno sempre più forti e l’uomo che lo ha guardato prima gli fa cenno di iniziare a suonare. Lascia cadere il bastone per terra ed inizia ad
improvvisare melodie di altri tempi, si accovaccia davanti la tenda, gambe
incrociate, ed inizia a sprigionare come per magia note delicate e soavi, le
stesse note che avrebbero di li a poco accompagnato la nascita del figlio del
capo tribù.
L’umidità inizia
a farsi sentire sempre di più insieme alla sensazione di malessere tra la gente
del villaggio. Il menestrello suonando si guarda attorno, in uno stato di trans
e ad occhi semi chiusi, sente il profumo delle donne che entrano ed escono
dalla tenda con fasce sporche di sangue mentre i bambini più piccoli le
guardano a loro volta con occhi inquieti. Al collo le donne hanno ghirlande di
fiori freschi intrecciate con corone di foglie di margosa e di palma, un
profumo strano, dolce e avvolgente che al tempo stesso gli svolazza sulla testa
e lo schiaffeggia. Una ragazza interrompe quel legame di odori passando davanti
al menestrello portando delle pelli di cervo, che probabilmente sarebbero
servite come giaciglio per il neonato.
La sua musica
riempie lo spazio circostante e copre gli urli della donna che ora si fanno
sempre più forti. Una mano gli tocca la spalla, segno del capo tribù che
l’esibizione deve finire, il menestrello così interrompe le note magiche.
Per un attimo
accanto a lui non c’è altro che silenzio. Silenzio e caldo. Una goccia di
sudore cade per terra e sembra rimbombare tutt’intorno.
Il silenzio viene rotto dal pianto di
un bambino “I suoi occhi che hanno guardato i nemici sono ancora rossi mentre
guardano il piccolo” pensa il menestrello osservando subito il capo tribù, ma
non fa in tempo ad accennare un sorriso quando il capo gli si para davanti.
Il menestrello si
alza con fatica, si inchina davanti il capo tribù che ora più che mai sembra
essere rinato, scongiurata l’ipotesi che suo figlio non sarebbe nato vivo. Il
menestrello aveva nel tempo assistito a molte nascite premature che nei casi
più delicati finivano con la morte del bambino. Una donna esce dalla tenda e
mostra il piccolo ancora sporco di sangue al padre e ai presenti che ormai si
sono accalcati di fronte ed in prossimità del giaciglio. Gli uomini guardano da
lontano e lo stesso capo tribù rimane ad una certa distanza.
Urli, mani e
piedi che sbattono tra di loro in
segno di approvazione e felicità. L’uomo non può ancora vedere la sua donna né
avvicinarsi alle altre che l’hanno assistita durante il parto, e nel mentre va
via con i suoi uomini, le altre donne del villaggio dopo aver unito il
talismano di senape e il talismano dalla bocca tagliente fatto di foglie di
margosa innalzano il fumo e fanno chiasso, bagnandosi nel lago, frastuono di
suoni che conclude la fatica dell’impurità per aver generato figli.
“உங்கள் இசை அதிசயமானது தான
, la
tua musica è magica”
gli dice in tamil un bambino di pochi anni avvicinatosi timidamente. In mano ha
dei fiori, e una gamba monca. Lui lo guarda sorpreso e con un gesto prende
dalla sacca il clarinetto e glielo porge.
“நன்றி, grazie, sebbene nessuno mai mi abbia detto che la mia musica fosse
magica. Forse lo è davvero.”
“Non ho mai visto uno strumento così bello,
solo mia mamma ne ha uno simile ma non posso toccarlo da quando ha saputo di
aspettare un bambino. La tradizione ci impone di non toccare le donne col
pancione a causa della loro impurità, per timore di contagio.”
Lo ricordava bene lui. Quando suo fratello
era nato, il padre e tutti gli altri parenti del villaggio, non potevano
avvicinarsi alle donne, frutto del peccato e sporche per aver generato figli.
Ricordava ancora il padre avvicinarsi ad altre donne, soprattutto quando quella
notte accompagnato dall’ingenuità di bambino, si era intrufolato dentro la
povera tenda del padre scoprendolo disteso con un’altra donna. Non aveva solo
quella e tutti lo sapevo e lo accettavano. Non capiva il perché di
quell’assurda credenza, a lui piaceva solo l’idea di avere finalmente un
fratellino con cui giocare. A quel fratellino ne giunsero ancora altri otto, ed
ogni volta la stessa identica procedura. Quel bambino che ora ha davanti per un
attimo gli ricorda suo fratello, molti anni prima. Vede nei suoi occhi la
purezza e la semplicità di bambino aperto alla vita, spensierato, giocoso ma al
tempo stesso intrappolato dalle regole della famiglia, intrappolato nella sua
gamba monca che non gli permette di correre.
In un attimo il menestrello ritorna alla
realtà scosso dalle urla giocose delle donne vicino al lago. Risa suscitate
dalla gioia di potersi finalmente liberare dall’impurità che le ha tenute
lontane dalle persone care, per timore di contagiare e per il divertimento che
provocano giocando con l’acqua. Si spingono, si accarezzano la testa e pronte come
in un agguato di schizzano l’acqua in pieno volto. Sorridono, sono belle, il
petto nudo e bagnato riflette i pochi raggi del sole ancora visibili.
“Il nemico dello spirito maligno” dice
improvvisamente il bambino guardando nel vuoto, e poi aggiunge “Mio padre mi
dice sempre che l’acqua e la musica sono i nemici dello spirito maligno, guarda
inizia a piovere”.
Qualche goccia di pioggia arriva sul naso
del menestrello e poco a poco inizia a bagnare la terra. Un viavai di persone
gli si scagliano davanti, piccole formiche impaurite che si muovono veloci. Le
donne senza alcun interesse continuano a giocare nell’acqua e i bambini urlano
di felicità. Solo gli uomini iniziano ad entrare nelle capanne per ripararsi
dall’imminente tempesta.
Il bambino con in mano il suo clarinetto
si allontana lentamente, cercando di raggiungere la capanna più vicina,
movimenti meccanici, che ne fanno di lui un piccolo burattino arrugginito.
Finalmente arriva l’acqua. L’acqua che
toglie ogni male, l’acqua fonte di vita, la regina che toglie ogni peccato e
che ridà la purezza perduta. Il menestrello non aspetta altro e rimane immobile
sotto la cascata di acqua che a poco a poco si fa sempre più violenta. Da un
lato lui, uomo di una certa età e che ne dimostra almeno venti in più, un
vecchio raggrinzito come la terra secca del Rajasthan e dall’altra le donne che
continuano a fare chiasso.
Rimangono così, in un’immagine spettrale,
il vecchio e le donne.
Le nubi grandi e gonfie riversano la
pioggia pesante dal cielo spaccato ora dalla luce dei fulmini. I pochi bambini
rimasti a giocare nel lago spaventati dai tuoni rientrano nelle tende lasciando
le donne da sole. Un uomo esce dalla tenda e lancia un urlo verso il
menestrello facendogli segno di ripararsi. Ma lui è lì, faccia verso il cielo,
bagnato dalla testa ai piedi.
Anche questa volta la vita ha fatto il suo
corso, anche questa volta grazie alla sua musica un nuovo arrivato è pronto
alla vita. Le donne sono finalmente purificate dalla vergogna del parto. Così
deve essere. Ancora un altro richiamo. Il menestrello fa finta di non sentire e
rimane ancora immobile, per sentirsi addosso le ultime gocce del cielo. Tende
una mano verso il vuoto.
Sorride.